Immensamente Sylvia





Sylvia Plath nasce nel 1932 a Boston (insieme alla Dickinson, è quindi una delle grandi poetesse del New England) da Otto, di origine tedesca, e Aurelia Schober, di origine austriaca. Il padre muore nel 1940 a causa di un diabete troppo a lungo trascurato; Sylvia non si riprenderà mai dalla morte del padre (nella poesia Daddy la Plath scrive:

I was ten when they buried you./At twenty I tried to die/And get back, back, back to you.

Nella stessa poesia, Sylvia definisce Aurelia “vampiro succhiasangue”: in effetti, il rapporto tra Sylvia e Aurelia è a dir poco complicato.

Aurelia è molto orgogliosa dell’intelligenza vivissima della figlia, e lavora duramente per permettere a Sylvia un’educazione di eccellenza (la ragazza viene accettata alla Smith con una borsa di studio); al tempo stesso, incita Sylvia a perseguire quell’eccellenza e quel perfezionismo che diventeranno una vera e propria ossessione, fino ad un fortissimo esaurimento nervoso quando Sylvia non viene accettata alla scuola estiva di Harvard.

Sylvia è una ragazza complessa, che vive in modo complicato la sua fisicità, la sua femminilità, il suo essere donna, la sua bellezza. I suoi diari sono intrisi del racconto delle sue avventure galanti, del suo bisogno e desiderio di piacere, della sua insofferenza nei confronti delle convenzioni sociali dell’epoca che le impediscono di vivere la scoperta del sesso apertamente, serenamente. Come fanno gli uomini.
Quando riceve una Fulbright per studiare a Cambridge, Sylvia incontra Ted Hughes a una festa. L’attrazione tra i due è istantanea: Ted si dimentica della ragazza con cui si era recato alla festa e sottrae a Sylvia la sua fascia per i capelli per assicurarsi di rivederla. Sylvia è così turbata ed emozionata da mordergli la guancia fino a farla sanguinare. I due si sposano quattro mesi dopo, e abbandonano presto Londra per vivere nella quiete della campagna del Devon, dove lui fa il grande poeta e lei..lei fa la moglie e la mamma.
È difficile dirsi quanto si possa parlare di idillio nel caso della relazione tra questi due giganti della poesia, entrambi dotati di un ego molto sviluppato. Probabilmente, Sylvia soffriva nel vivere all’ombra del marito, relegata nella quiete campestre, lei che aveva così amato il suo stage presso la famosa rivista Mademoiselle a New York, lei che aveva sempre eccelso in tutto. Non è un caso che la fase più produttiva della Plath coincida col periodo di separazione da Ted Hughes, nel corso del quale scrive anche il suo unico romanzo, The Bell Jar, metafora del senso di soffocamento provocatole dal piccolo appartamento londinese in cui vive sola con i due figli dopo l’abbandono di Hughes.

Il fantasma di Sylvia tormenta l’amante di Hughes, che qualche anno dopo la morte della poetessa mette in scena una macabra emulazione del suicidio della Plath, uccidendo se stessa e la figlia di soli cinque anni col gas.

Frieda Plath, unica figlia di Plath e Hughes ancora in vita (il figlio Nicholas si è suicidato a quarantasei anni), si è opposta violentemente alla produzione della BBC dedicata alla vita di Sylvia Plath, pubblicando la toccante poesia My mother, il grido accorato di una bambina che ha perso sua madre in circostanze tragiche e viene condannata a rivedere quella morte ripetuta sullo schermo:

They are killing her again.
She said she did it
One year in every ten,
But they do it annually, or weekly,
Some even do it daily,
Carrying her death around in their heads
And practising it. She saves them
The trouble of their own;
They can die through her
Without ever making
The decision. My buried mother
Is up-dug for repeat performances.

Now they want to make a film
For anyone lacking the ability
To imagine the body, head in oven,
Orphaning children. Then
It can be rewound
So they can watch her die
Right from the beginning again.



Sylvia Plath resta una delle figure più complesse ed affascinanti della letteratura anglo-americana, che non si può ridurre assolutamente solo agli anni passati con Hughes, come ha sottolineato Andrew Wilson nella sua biografia Mad Girl’s Love Song: Sylvia and life before Ted (il titolo è tratto dalla villanelle omonima della Plath, che trovate qui). La biografia di Wilson rappresenta una chiave interessante di lettura delle personalità della Plath, anche se, personalmente, l’ho trovata eccessivamente ancorata alla vita sentimentale e alle prime scoperte sessuali di Sylvia, mentre i suoi diari offrono una visione dettagliata e a tuttotondo della personalità della scrittrice (fin da piccola, la Plath scriveva lettere e diari come se fossero già destinati alla pubblicazione).

La poesia Elm (L’olmo) è stata composta dalla Plath nel 1962, solo un anno prima del suo suicidio. Fin dall’inizio, la Plath vuole far capire al lettore la gravità della situazione, che ha toccato un punto di non ritorno: Sylvia ha ormai toccato il fondo, e non ne ha più paura, perché lo conosce. Tuttavia, è terrorizzata da qualcosa di silenzioso e maligno che dorme in lei, e le fa venire voglia di urlare la sua rabbia, la sua disperazione. L’amore ormai altro non è che una “pallida irrecuperabilità”; è solo un’ombra, e per la Plath ormai è perduto. Per sempre. Traspare dai suoi versi non solo una disperazione profonda, ma anche un senso di ineluttabilità del proprio destino, un campanello d’allarme per la tragedia imminente. Sono le colpe “isolate e lente” che uccidono.

I know the bottom, she says. I know it with my great tap root:
It is what you fear.
I do not fear it: I have been there.

Is it the sea you hear in me,
Its dissatisfactions?
Or the voice of nothing, that was your madness?

Love is a shadow.
How you lie and cry after it
Listen: these are its hooves: it has gone off, like a horse.

All night I shall gallop thus, impetuously,
Till your head is a stone, your pillow a little turf,
Echoing, echoing.

Or shall I bring you the sound of poisons?
This is rain now, this big hush.
And this is the fruit of it: tin-white, like arsenic.

I have suffered the atrocity of sunsets.
Scorched to the root
My red filaments burn and stand, a hand of wires.

Now I break up in pieces that fly about like clubs.
A wind of such violence
Will tolerate no bystanding: I must shriek.

The moon, also, is merciless: she would drag me
Cruelly, being barren.
Her radiance scathes me. Or perhaps I have caught her.

I let her go. I let her go
Diminished and flat, as after radical surgery.
How your bad dreams possess and endow me.

I am inhabited by a cry.
Nightly it flaps out
Looking, with its hooks, for something to love.


I am terrified by this dark thing
That sleeps in me;
All day I feel its soft, feathery turnings, its malignity.

Clouds pass and disperse.
Are those the faces of love, those pale irretrievables?
Is it for such I agitate my heart?

I am incapable of more knowledge.
What is this, this face
So murderous in its strangle of branches?——

Its snaky acids hiss.
It petrifies the will. These are th
e isolate, slow faults

That kill, that kill, that kill.

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Conosco il fondo, dice. Lo conosco con la mia grossa

radice:

è quello di cui tu hai paura.

Io non ne ho paura: ci sono stata.

È il mare che senti in me,

le sue insoddisfazioni?

O la voce del nulla, che era la tua pazzia?

L’amore è un’ombra.

Come lo insegui con menzogne e pianti.

Ascolta: ecco i suoi zoccoli: è corso via, come un cavallo.

Per tutta la notte galopperò così, impetuosamente,

finchè la tua testa non sarà una pietra, il tuo cuscino

una zolla,

rimandando echi ed echi.

O vuoi che ti porti il suono dei veleni?

Ecco, questa è la pioggia ora, questo grande azzittirsi.

E questo è il suo frutto: bianco-stagno, come arsenico


Ho patito l’atrocità dei tramonti.

Bruciati fino alla radice

i miei filamenti rossi ardono ritti, una mano di fili di

ferro.

Ora mi rompo in pezzi che volano intorno come clave.

Un vento di tale violenza

non tollerà neutralità: devo urlare.


Anche la luna è spietata: vuole trascinarmi

crudelmemte, lei che è sterile

Il suo splendore mi folgora. O forse l’ho catturata.


La lascio andare. La lascio andare

diminuita e piatta, come dopo un intervento radicale.

Come mi possiedono e mi colmano i tuoi brutti sogni.


Sono abitata da un grido.

Di notte esce svolazzando

in cerca, con i suoi uncini, di qualcosa da amare.


Mi terrorizza questa cosa scura

che dorme in me;

tutto il giorno ne sento il tacito rivoltarsi piumato,

la malignità


Le nuvole passano e si disperdono

Sono quelli i volti dell’amore, quelle pallide

irrecuperabilità?

È per questo che agito il mio cuore?


Sono incapace di maggiore conoscenza.

Che cos’è questo, questa faccia

così assassina nel suo strangolio di rami?


Sibilano i suoi acidi serpentini.

Pietrificano la volontà. Queste sono le colpe isolate

e lente

che uccidono e uccidono e uccidono.





(trad. a cura di Anna Ravano)

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